N. 155 - Luglio/Settembre 2021
Ombre. LUC
RIVISTA CRISTIANA DELLE FAMIGLIE E DEGLI AMICLDERERSONE FRAGILI E CON DISABILITÀ
i ff:
‘AVOrO
"IN CAMMINO.DA NORDA suD
CAN
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3/2021
20
Sogni per niente speciali
di Cristina Tersigni
DIALOGO APERTO
INTERVISTA
Quarantadue chilometri
tra Bellizzi e New York
di Enrica Riera
Quel regalo immenso
chiamato vaccino
di Isabella Corsini
Mi sento grande
di Silvia Freschi
Dietro le quinte di un'assunzione
di Cristina Tersigni
Diario di Efrem lavoratore
di Efrem Sardella
DALL’ARCHIVIO
Per un lavoro umano
di Maria Teresa Cabras
ASSOCIAZIONI
Stasera milonga?
di Cristina Tersigni
FEDE E LUCE
Un fiume lungo quanto il Mediterraneo
di Liliana Ghiringhelli
SPETTACOLI
Sentire la fine del mondo
di Claudio Cinus
LIBRI
Perché il mare non è sempre lo stesso?
di Benedetta Mattei
Visita a Roccamonfina
di Giovanni Grossi
In copertina:
Silvia Freschi a lavoro (foto scattata prima della pandemia)
In IV di copertina: SteReal, “Tradizioni” per Gulìia Urbana
(Bianchi 2021, foto lacopo Munno)
\_ i EDITORIALE
Sogni
per niente speciali
di Cristina Tersigni
n fornaio entra dal bar-
biere e vede un nuovo
assunto tra i collab-
oratori: si chiama Paul ehala
sindrome di Down. Il fornaio fa
un mezzo sorriso soddisfatto ma
non immagina che il ragazzo sia
lì proprio grazie a lui. È la scena
finale di una pubblicità per la
sensibilizzazione delle aziende (e
dei loro potenziali clienti) all’in-
clusione lavorativa delle persone
con disabilità intellettiva: quel
fornaio, infatti, aveva innescato
una virtuosa catena assumendo
Simone come commessa nel suo
negozio, anche lei con la sindrome
di Down. Tra i due, gli altri anelli
della catena erano stati un'av-
vocatessa, un dentista e un’agri-
coltrice, ognuno dei quali, visto il
precedente, aveva assunto rispet-
tivamenteJohn, Sophia e Kate,
tutti con disabilità. Sarebbe dav-
vero bello veder concretizzato il
sogno di tante e tanti giovani con
disabilità intellettive così come lo
vediamo narrato e auspicato nella
trama dell'ultima delle campagne
comunicative, di gran pregio e
cura, ideate da Coordown in ques-
ti anni. La pubblicità, dal respiro
internazionale e denominata The
Hiring Chain (“La catena di assun-
zioni” visibile su http://www.
hiringchain.org/) racconta proprio
di un sogno per niente speciale,
come spesso lasciamo che venga-
no invece definite le persone con
disabilità. È un sogno di normalità
piena che spetta a ciascun essere
umano per il quale sia possibile
esercitarlo. Non a caso è uno degli
obiettivi esplicitamente inclusivi
nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo
Sostenibile delineata dall'Onu.
Certo non è scontato, come le sto-
rie raccontate in questo numero
dimostrano. Scriveva Mariangela
Bertolini anni fa chele persone
con lievi disabilità intellettive —
anche quelle che difficilmente
vengono riconosciute tali, come
invece avviene per la sindrome di
Down - «hanno bisogno di trovare
luoghi rassicuranti dove interlo-
cutori, attenti alle loro difficoltà
nascoste, manifestino nei loro
confronti fiducia (...). Che li aiutino
a progredire (...), che si facciano in-
terpreti dei loro desideri, aiutandoli
a scoprire quali possono realizza-
re», Non sono certo condizioni da
poco ma, dove si riescano a real-
izzare (ed è possibile), dimostrano
non solo capacità di accoglienza e
sensibilità, ma soprattutto grande
intelligenza. Rafforzando il tessu-
to umano della stessa azienda e
dell’intera comunità. OL
Ombre e Luci 155
3
\) DIALOGO APERTO
Una nuova reporter!
iao, sono Valentina Montanari sorella ge-
mella di Francesca. Per me oggi pomerig-
gio è stato un pomeriggio bellissimo, ho ri-
visto gli amici di Fede e Luce! Sono stati due giorni
bellissimi sia ieri con l'inaugurazione della barca
che oggi (vedi pag. 24). Ma oggi pomeriggio è sta-
to un momento molto importante e molto emo-
zionante perché sono stata scelta come reporter
di Fede e Luce. Mi hanno consegnato il tesserino
con il mio nome e la mia foto con la scritta “Re-
porter Fede e Luce Mondovì” e per me è un grande
onore visto che è dal 2002 all'incirca che faccio
parte della comunità. Adesso sono molto felice
e orgogliosa per questo incarico che ho ricevuto.
Spero che il covid passi in fretta per poter riab-
bracciare tutti gli amici di Fede e Luce.
Valentina Montanari
Disegni CarrozzAbili
e Sicomoro di Fidenza di recente hanno
vissuto un tempo di fragilità e difficoltà.
Fortunatamente però abbiamo potuto gioire e
congratularci con il nostro amico pittore Ales-
sandro, che grazie al Centro ANFASS Onlus di
Massa Carrara, che frequenta giornalmen-
te, ha potuto partecipare alla Manifestazione
“CarrozzAbile”. Questo evento ha luogo an-
nualmente a Marina di Carrara ed ha lo scopo
di invitare tutti, in particolare gli alunni delle
scuole, a sedersi su una carrozzella, per speri-
mentare i problemi, gli ostacoli, le tante bar-
riere architettoniche con le quali si scontrano
quotidianamente le persone con difficoltà di
movimento. Purtroppo quest'anno, a causa del
COVID la “CarrozzAbile”, ha dovuto cambiare
formula. Gli alunni delle scuole sono stati invitati a partecipare con un testo scritto o un elaborato
grafico sul tema delle barriere architettoniche. Gli operatori del Centro ANFASS hanno chiesto ad
Alessandro se desiderava partecipare all'iniziativa, e lui ha subito accolto l'invito. Il nostro pittore
si è ispirato ad un suo amico, che frequenta lo stesso Centro, ha disegnato una sedia speciale e colo-
rata che lo aiuti a muoversi con più facilità e allo stesso tempo che permettesse alla sua educatrice
di poterlo aiutare con meno fatica. Inoltre la sedia è così speciale che ha il potere di far sorridere e
rendere felice il suo “inquilino”. Il disegno è stato esposto, insieme a tutti quelli degli alunni delle
scuole presso un Centro commerciale della provincia. Così Alessandro ha potuto ottenere tante
soddisfazioni e le meritate gratificazioni... e noi insieme a lui!
C ara redazione, le comunità Condivisione
Silvia Tamberi
4 Ombre e Luci 155
di Enrica Riera
è taten Island, Brooklyn, Que-
a, ens, Manhattan, Bronx: sono
” cinque i distretti di New York
da dover attraversare per vince-
re la maratona più partecipata al
mondo, tra le corse maggiormente
importanti degli Stati Uniti. È que-
sto il sogno dei due fratelli Leo che
ogni giorno, a Bellizzi (Salerno), si
allenano per farlo diventare realtà.
Dario, 38 anni, è infatti pronto a
spingere la carrozzella su cui Fran-
co, 52, gareggerà alla cinquante-
sima edizione della competizione
newyorkese, il 7 novembre prossi-
mo, dimostrando a tutti che «se lo
vuoi, puoi farlo».
«A mio fratello Franco, che da
quando è nato convive con la tetra-
paresi spastica, gli oltre 42 chilome-
tri da percorrere, secondo l’itinera-
rio previsto dalla gara, non fanno
Ombre e Luci 155
6
paura - spiega Dario Leo —. Per lui
è importante affrontare questa sfi-
da anche e soprattutto per donare
speranza ad altre persone, giovani
magari, che hanno un desiderio e
credono, a causa delle più svariate
difficoltà, di non poterlo realizza-
re».
Una sfida, dunque, la cui idea
inizia a formarsi e a nascere pro-
prio nel corso del confinamento
dovuto al coronavirus che, nei
mesi passati, ha travolto tutti e a
Franco, in particolare, ha instillato
un profondo senso di isolamento.
«Nel corso della chiusura dovuta
all'emergenza sanitaria da co-
vid-19 —- racconta Dario —, Franco
ha attraversato una fase di depres-
sione; per questo mi sono detto
che avrei dovuto fare qualcosa per
aiutarlo e, ancora, che questo qual-
cosa avrebbe dovuto realmente
identificarsi con la realizzazione
del suo sogno, che non è soltanto
la partecipazione alla maratona di
New York, ma pure prendere un ae-
reo, visitare una grande città, fare
dello sport all'aperto».
Trattasi, pertanto, di uno stimo-
lo vero e proprio. L'aiuto di Dario,
che di professione fa il grafico
pubblicitario, verso il fratello mag-
giore - il quale, invece, è un artista
(Franco ha realizzato oltre cento
quadri, tramite il computer e uno
specifico dispositivo, e circa dieci
anni fa ha anche scritto un libro) —
si trasforma in un autentico segno
di rinascita; e Franco, una volta a
conoscenza dell'ambizioso proget-
to di Dario, non si tira indietro: si
Ombre e Luci 155
risolleva immediatamente, inizian-
do a programmare allenamenti e
quant’altro, in base a calendari ben
precisi. «Franco — prosegue il mi-
nore dei Leo — è una persona assai
competitiva, per cui mi sollecita
sempre a ottenere il miglior risul-
tato possibile e, principalmente, a
stare nei tempi che, secondo lui,
potrebbero garantire un buon piaz-
zamento nella competizione».
Durante
il confinamento
Franco ha attraversato
una fase
di depressione
Dovevo fare
qualcosa per aiutarlo
e per fargli realizzare
il Suo sogno
che è anche quello
di prendere un aereo
e visitare
una grande città
Nel frattempo, affinché il pro-
getto effettivamente si concretiz-
zi, i due fratelli hanno creato l'as-
sociazione “SognoAttivo” e aperto
una raccolta fondi che li aiuti a
recuperare le risorse per poter
partire e che, al contempo, dia una
mano a chi, con disabilità, abbia
ad esempio bisogno di una carroz-
zella («Franco ne ha una con la se-
duta simile a quella presente nelle
macchine dei piloti, realizzata su
misura da un artigiano di Reggio
Emilia e donata dalla Fondazione
Carisal di Salerno») o di qualun-
que altra cosa gli permetta di vi-
vere al meglio, in linea coi propri
desideri. «Inizialmente —- continua
Dario — speravo che il nostro so-
gno (dico nostro perché ormai è di
entrambi, un qualcosa che ci lega
profondamente) rimanesse, per
l'appunto, privato, ma Franco ha
voluto creare l'associazione e, in
un secondo momento, che la sua
storia (e la volontà di partecipare
alla maratona nella Grande Mela)
si conoscesse, semplicemente
per invogliare, come già accen-
nato, gli altri ad andare avanti e
a credere in se stessi. Oggi — dice
ancora Leo — devo dire che è stata
la scelta giusta, dal momento che
riceviamo tantissimi messaggi
e lettere di incoraggiamento e
pure commenti da persone che ci
dicono che, grazie a noi, hanno
ritrovato un po' di speranza. È un
confronto continuo che, per me e
Franco, significa crescere, anche
umanamente».
Banco di prova e di rodaggio
per la maratona di New York sono,
inoltre, le gare a cui Dario e Fran-
co Leo, in questi mesi, stanno
partecipando per mettere a frutto
gli allenamenti finora compiuti,
per capire come perfezionarsi,
quali tecniche adoperare per ar-
rivare, tappa dopo tappa, fino a
Central Park e, chissà, per fare
letteralmente ingresso nell'albo
d'oro stilato dagli organizzatori
della manifestazione sportiva.
«Abbiamo partecipato di recente
alla Mezza Maratona di Latina
e, devo dire, che siamo riusciti a
raggiungere un buon posiziona-
mento. Siamo arrivati 390esimi su
oltre settecento atleti, tutti nor-
modotati, percorrendo più di 21
chilometri in un'ora e 48 minuti;
e Franco ne è stato contentissimo
— sottolinea Dario —. Adesso, tra le
altre, proveremo a partecipare alla
Mezza Maratona di Verona e poi a
quella, a un passo da casa nostra,
di Napoli; dopodiché, continuere-
mo ad allenarci, dal momento che
novembre si avvicina».
Manca - è vero — poco alla gara
che cade nella prima domenica di
novembre, in quella meraviglio-
sa cornice che è l'autunno a New
York, e che solo in due casi (l’ura-
gano Sandy del 2012 e la pandemia
del 2020) non si è svolta. Una gara
che, nell'immaginario collettivo,
rappresenta un po' una festa; anzi,
una corsa, per Dario e soprattutto
per Franco, verso la libertà e con-
tro qualsiasi tipo di pregiudizio:
a prescindere dal risultato che si
raggiungerà, per la famiglia Leo si
può già parlare di successo perso-
nale. Un successo per aver aiutato
(e continuato a farlo) gli altri a
comprendere che sì, se si ha un
sogno e si fa di tutto, con pazienza,
determinazione e tenacia, per per-
seguirlo, si è sempre e comunque
vincitori. OL
Ombre e Luci 155
Quel regalo Immenso
chiamato vaccino
Dal terrore del covid alla speranza
Ho 16 anni, una rara sindrome genetica, una montagna di riccioli castani e un
paio di occhi dolcissimi. Non uso il linguaggio verbale, la scienza mi qualifica
come minore disabile gravissimo, ma ho un’immensa capacità di amare e di
sorridere agli altri. Il covid ha stravolto la mia vita, togliendomi il dono più
grande che ho: la socialità. Da un giorno all’altro, mi sono ritrovato in casa
isolato dal mondo, circondato solo dai miei cari. Non sono più andato a scuola,
non ho più nuotato in piscina, non ho più visto i miei cavallini, non ho più fatto
musicoterapia. Il mio unico contatto con l’esterno è diventato uno schermo del
pc in cui comparivano, come per magia, i visi delle maestre, dei terapisti, degli
zii, dei nonni e meravigliosi concerti di musica classica. In casa ho avvertito
una strana sensazione di costante paura e di tensione. Quando uscivo in strada
vedevo tutti i visi coperti da strane mascherine e la mia mamma mi tirava
sempre a sé quando tentavo di avvicinarmi a con qualcuno. Pure molto più tardi,
quando ho ricominciato lentamente a rivedere la mia tata, i nonni che abitano a
Napoli, gli assistenti che sono miei amici e poi le maestre e i compagni di classe, i
terapisti, erano tutti bardati e non ho potuto più ricevere un bacio, non ho potuto
più sedermi in braccio e farmi fare le coccole. Solo la miamamma ha cercato di
colmare questo immenso vuoto. (Riccardo De Micco)
di Isabella Corsini
esoro mio hai ragione. Ab-
biamo trascorso un anno di
angoscia e terrore all'idea
che tu in particolare, quale com-
ponente più fragile della famiglia,
potessi ammalarti e finire in terapia
intensiva. Hai ascoltato i miei pianti,
le richieste disperate a tuo fratello di
non uscire, le mie preghiere. Come si
può proteggere un bambino come te
che non sopporta la mascherina, che
Ombre e Luci 155
lecca le mani continuamente, che si
avvicina a chiunque? Come ho fatto
a settembre scorso a decidere di ri-
mandarti a scuola e a terapia, riapri-
rela casa alle persone che ci aiutano
con la paura che potessi ammalarti?
Sono stati mesi di terrore forse
peggio ancora del primo lockdown
in cui eravamo rinchiusi in casama
almeno al sicuro. Sono stata costretta
a rischiare pur di farti vivere, come
quando si gioca alla roulette russa.
Non mi sono mai sentita più impo-
tente e impaurita perché costretta a
esporti a un rischio enorme. Ho va-
lutato che se decidevo di proteggerti
isolandoti, ti saresti ammalato psico-
logicamente e saresti inesorabilmente
regredito perdendo tutti i piccoli pro-
gressi guadagnati faticosamente dopo
anni e anni di stimoli, terapie e socia-
lizzazione. Ho deciso di rischiare.
Poi finalmente è arrivato Natale
che ci ha portato la speranza del
vaccino. Dopo aver acquisito il pare-
re favorevole dei due centri di rife-
rimento italiani della tua sindrome
e aver organizzato un webinar sui
pro e contro del vaccino per i minori
come te, ho deciso di farti vaccinare
al compimento dei tuoi 16 anni. La
paura che tu possa ammalarti è di
gran lunga superiore ai rischi di que-
sto vaccino sperimentale.
Che emozione
Il giorno
della prima dose!
Sembrava
ti stessimo
accompagnando
a un nuovo
battesimo
Dopo mesi e peripezie è arrivato
il tuo turno. L'Italia è il Paese della
burocrazia dove tutto può diventare
complicato sebbene le disposizioni
normative a tutela dei minori disabi-
Riccardo riceve la prima dose del vaccino
li gravissimi siano cristalline. Dopo
una lunga battaglia, fiumi di mail
e attese telefoniche sono riuscita a
conquistare il tuo e i nostri vaccini
per proteggere tutta la famiglia.
Che emozione il giorno della
prima dose! Sembrava ti stessimo
accompagnando a un nuovo bhattesi-
mo, la speranza concreta di ricomin-
ciare una vita normale. Ti guardo
con una gioia immensa avvicinarti
in sicurezza e prendere la mano di
chi conosci e lasciarti abbracciare,
senza rischio di contagio. Ti vedo
molto più sereno, sorridi di più ri-
spetto ai mesi scorsi. Cercheremo
di recuperare il tempo perduto, con
i vecchi e nuovi amici che questo
tempo strano ci ha regalato. OL
Ombre e Luci 155
a
ng
26,7%
Donne con disabilità
occupate
Contro il 36,3% degli
uomini
@; Fonte: Conoscere il mondo
della disabilità, Istat 2019
Persone tra i 15 e i 64
anni con limitazioni
funzionali che hanno
un impiego lavorativo
to Contro il 57,8% delle
persone senza limitazioni
© @; 35,8%
La media europea
di inclusione lavorativa
supera invece il 50%
42,2%
Persone con disabilità
che lavorano al Centro
37,3% al Nord
18,9% al Sud
2 Su 3
Persone con disabilità
soddisfatte del proprio
impiego
49,7%
Lavora nella Pubblica
Amministrazione
* 27% nei servizi
0; 16,9% nell'industria
6,4% nell'agricoltura
26,1% 59 anni {}
Tasso di disoccupazione Età media delle persone
dei giovani (25-44 anni) con disabilità occupate
con disabilità ©:
Contro il 18,5% delle
persone senza limitazioni ©;
Nn ol o 4°;
FOCUS LAVORO
Misento grande
Il percorso e le soddisfazioni
lavorative di una ventinovenne
di Silvia Freschi
iao! Mi chiamo Silvia, ho 29
( anni, abito a Locate Triulzi,
ma da quasi tre anni vivo
alla Casa Comune nel quartiere
Isola di Milano insieme ad altre
ragazze per l'esperienza del “dopo
di noi”, ho due fratelli e due nipo-
tini. Lavoro già da un po’ al McDo-
nald’sin un centro commerciale
di Sesto San Giovanni. Quando
ho fatto il colloquio mi avevano
chiesto se mi andava bene fare un
lavoro ripetitivo che, mi hanno
spiegato, vuol dire fare sempre le
stesse cose. Così ho imparato a
preparare le insalatone e le farci-
ture dei toast. Non è stato facile
essere precisi, ma ci sono riuscita
imparando una ricetta alla volta.
Poi la direttrice del mio negozio
mi ha fatto lavorare al McCafè ad
aiutare la mia collega quando c’è
tanta gente: io carico e svuoto
©; la lavastoviglie, così lei può
@; Visto che imparavo
bene, dopo alcuni mesi mi
ha insegnato anche a servire ai
tivo perché devo essere veloce e pre-
cisa; qualche volta i clienti mi fanno
servire i caffè.
tavoli. Questo lavoro è impegna-
domande a cui non so rispondere,
allora io chiedo aiuto ai miei colle-
ghi. Mi dicono che sono brava per-
ché sorrido sempre e sono gentile.
Nel periodo del coronavirus abbia-
mo lavorato spesso con l'asporto e io
ho imparato a preparare le bibite e a
chiudere i sacchetti per il Glovo.
Lavoro dal lunedì al venerdì
sempre con lo stesso orario, men-
tre i miei colleghi fanno i turni,
quindi vedo tutti i giorni persone
diverse. All’inizio era difficile,
ma adesso sono contenta: parlo
con tante persone e mi vogliono
bene. Quando, dopo il tirocinio di
un anno, sono stata assunta, sono
stata molto contenta, ma ho fatto
tanta fatica ad abituarmi ad alcu-
ne cose: timbrare giusto, lavorare
nelle festività infrasettimanali
quando i miei genitori e i miei fra-
telli erano a casa (e mi veniva da
piangere) e dover chiedere il per-
messo al mio capo per le vacanze.
Sono contenta di lavorare perché
mi sento grande, ho conosciuto
tanti colleghi con cui parlo e al 10
del mese chiedo sempre al papà se
sono arrivati in banca i soldi del
mio stipendio. OL
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12
FOCUS LAVORO
Dietro le quinte
di un'assunzione
| genitori e i colleghi di Silvia raccontano
la sua esperienza al McDonald's
di Cristina Tersigni
on hanno avuto dubbi i geni-
N® di Silvia a scommettere
sul bene che la figlia avrebbe
potuto ottenere chiedendo di rive-
dere la sua categoria di inabilità al
lavoro data dalla certificazione di
invalidità al 100%. Qualche dubbio
in più, hanno ammesso, lo hanno
avuto quando si sono ritrovati a de-
cidere dove Silvia avrebbe lavorato.
In ballo c'erano la distanza da casa
con «un’ora e un quarto di durata del
viaggio prendendo treno, metropo-
litana, autobus, più un tratto a piedi
e il fatto che il negozio si trovasse
all'interno di un centro commercia-
le, potenzialmente rumoroso e stan-
cante». Per arrivare all'importante
decisione «è stata fatta una riunione
di famiglia» nella volontà costante
«di coinvolgere i fratelli nei momenti
decisionali». E hanno optato, tutti
insieme, per la destinazione rag-
giungibile con i mezzi pubblici anche
se più distante.
Non è stato semplice decidere ma
tutto il percorso educativo affrontato
da Silvia proprio a questo mirava e
nessuno voleva che andasse perduto.
Ombre e Luci 155
Ma «cos’ha Silvia che non va?». E
perché il traguardo dell'iniziale con-
tratto a tempo determinato è stato
festeggiato più che una laurea?
Silvia Freschi a lavoro
(foto scattata prima della pandemia)
Silvia è una giovane di bell'a-
spetto senza una diagnosi precisa.
Da piccola era soprattutto il ritar-
do del linguaggio a preoccupare i
suoi genitori, Paola e Claudio Fre-
schi che, in seguito, hanno dovuto
accettare e confrontarsi con una
diagnosi di ritardo intellettivo me-
dio grave. Ma «vedere anche quel
che non piace, la disabilità della
propria figlia e i suoi limiti, ha si-
gnificato non arrendersi o tarparle
le ali. Anzi! Proprio il partire dal
dato di realtà ci ha permesso di far
pace con ciò che non riesce a fare
(fino a sorriderne e a prenderla
in giro) espingere al massimo su
quello che può sviluppare». Così se
la scelta della scuola per aiuto cuo-
co dell'Anffas dopo le scuole medie
«è costato tanti pianti, sembrando
una resa ai limiti intellettivi di Sil-
via» alla fine si è rivelata «la strada
vincente per una migliore accet-
tazione di sé e per mettere le basi
concrete per il suo futuro lavora-
tivo». La scuola prevedeva tirocini
scolastici annuali per diverse man-
sioni lavorative che comportavano
la necessità di confrontarsi con
tante persone e realtà differenti, da
accettare e da cui farsi accettare, e
— cosa non secondaria- la necessità
di acquisire altre e decisive auto-
nomie come l'utilizzo dei mezzi
pubblici per raggiungere ogni nuo-
vo luogo di lavoro. «Dovevamo pla-
care l'ansia di saperla in giro per
Milano e siamo diventati cellulare
dipendenti!» ricorda la mamma Pa-
ola che l'ha guidata, in tanti piccoli
passi, in metropolitana, per stazio-
ni e autobus, un tirocinio alla vol-
ta, rendendola sempre più in grado
di muoversi, alla fine, da sola.
Oppure seguendola al colloquio di
lavoro più importante, sedendosi
in fondo alla stanza e intervenen-
do solo quando necessario. «Silvia
si è sentita sempre sostenuta e ha
vissuto le diverse esperienze come
la sua scuola per diventare grande,
evitando così di sentirsi inferiore
ai fratelli che frequentavano l’u-
niversità». Paola racconta di aver
ridimensionato le sue aspirazioni
professionali per seguire meglio
Silvia durante la sua crescita: ogni
sforzo è stato affrontato nell’idea
di renderla il più possibilein grado
di affrontare difficoltà in un’auto-
nomia su misura per lei.
Tutto facile allora? Niente affat-
to. «Silvia si è trovata catapultata
in un mondo che le chiedeva delle
responsabilità da adulta (timbra-
tura del cartellino, ferie limitate
a quelle concesse, ecc.) e che non
coincideva con l'immagine di sé che
aveva costruito nel tempo. Sono
stati mesi duri, superati grazie alla
sua determinazione, agli interventi
della psicologa, al nostro sostegno,
alla grande accoglienza e capacità
di vera inclusione del personale
McDonald's».
Arriviamo così alla controparte,
il datore di lavoro che, ovviamente,
ha un ruolo fondamentale. Sappia-
mo bene che la normativa vigente
impone ad ogni azienda o ente
pubblico un numero preciso di
dipendenti con disabilità rispetto
quelli normodotati; ciò nonostan-
Ombre e Luci 155 13
te, molte aziende preferiscono pa-
gare le multe pur di non adempire
a questo obbligo. L'esperienza di
Silvia e di tanti altri giovani con
disabilità ci raccontano invece di
buone pratiche e di realtà come
questa che, aderendo alla legge con
gli incentivi che comporta dal pun-
to di vista fiscale e contributivo,
danno realizzazione ad una catena
virtuosa a partire da un progetto
che, nel caso di Silvia, è stato re-
datto con il supporto del Consorzio
SIR Ex Anffas attivo in Lombardia.
Nonè stato
sempre facile
ma Silvia
si è sentita
sostenuta
e ha vissuto
le esperienze
come la sua scuola
per diventare
grande
Silvia - in quasi sei anni di lavo-
ro con l'azienda Euroristoro, che
ha in franchising diversi ristoranti
a marchio McDonald'sin Lombar-
dia, con circa 900 dipendenti —- ha
sempre trovato colleghi e respon-
sabili che hanno imparato a co-
noscerla e apprezzarla. Un gruppo
realmente capace di «sentirsi una
squadra» con persone come Silvia,
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e capace di misurare il lavoro sulle
sue possibilità senza mai smettere
di stimolarla a migliorarsi. All’ini-
zio, racconta Debora la direttrice
del Ristorante che ha lavorato con
lei i primi due anni, non è stato
semplice «lavorare con una bella
ragazza che nessuno, se non dopo
un buon dialogo con lei, immagi-
nava potesse avere delle difficol-
tà». Ogni giorno tra nuove scoperte
e qualche errore, scrive ancora De-
bora, «il suo mettersi ogni giorno
in gioco permetteva alla squadra
di aumentare i propri valori; è
un esempio per tutti e premiarla
davanti a tutti rende la squadra
orgogliosa di lei». Chi la conosce
da quasi sei anni, come Arianna
che l’ha accolta al primo colloquio,
«ha la soddisfazione di averla vista
crescere, personalmente e profes-
sionalmente». E riconosce che «la
presenza di Silvia nel ristorante è
fonte di ricchezza umana, di sfida,
di superamento dei propri limiti e
abbattimento di barriere, spesso
mentali e non reali. Ogni suo pas-
so in avanti, è un grande orgoglio
anche per noi, oltre che per la sua
famiglia».
Dall'ottobre del 2019, Silvia è
stata assunta a tempo indeter-
minato. Il contratto, con qualche
accortezza per quanto riguarda
le pause e i riposi ma per il resto
sovrapponibile a quello degli al-
tri colleghi, le offre quel margine
di elasticità che nei precisissimi
ingranaggi della grande azienda
della ristorazione veloce non sono
scontati. Ma tutti hanno avuto e
continuano ad avere a cuo-
re che il rapporto funzioni,
pronti a mettere in conto le
inevitabili difficoltà. Racconta
il papà Claudio che «il mana-
ger, al momento della firma
del secondo contratto, leha
detto che, dopo averla cono-
sciuta bene e aver valutato
positivamente le sue capacità,
si impegnavano a tenerla “per
sempre”, proprio come in un
matrimonio. Da quando lavora
— concludono orgogliosi i geni-
tori — Silvia si sente più grande,
responsabile e utile per il buon
funzionamento del ristorante.
Ha aumentato la sua autosti-
ma, ha allargato le sue relazioni ed
ha dato un senso alle sue giorna-
te, ricompensando tutte le nostre
fatiche e aiutandoci a riscoprire il
senso profondo delle cose che vi-
viamo».
La catena di
Il rapporto su L’inclusione lavorativa
delle persone con disabilità stilato nel
2019 dalla Fondazione Studi Con-
sulenti del Lavoro sottolinea che a
vent'anni dalla legge n. 68/1999 (che
disciplina l'inserimento lavorativo
delle persone con disabilità) è anco-
ra una realtà la marginalizzazione
dal mondo del lavoro, e quindi dalla
società, delle persone con handicap.
A farne le spese sono soprattutto
quanti hanno una disabilità intel-
lettiva: rispetto a loro, infatti, il
pregiudizio di presunta inaffidabilità
Silvia e Debora, direttrice del ristorante
in una foto scattata prima della pandemia
Da qualche tempo Silvia sta
sperimentando anche la vita in au-
tonomia in una casa protetta insie-
me ad altre persone con disabilità.
Altro che scommessa, insomma...
il percorso di Silvia si è rivelato un
investimento assai oculato. OL
assunzioni
sembra più marcato. Si compren-
de quindi perché Coordown inviti
aziende e datori di lavoro a superare
e far superare questo stigma. Final-
mente però una buona notizia: con
l'ultima campagna pubblicitaria The
Hiring Chain — accompagnata dalla
voce inconfondibile del cantante in-
glese Sting in una originale filastroc-
ca musicale — Coordown aggancia il
primo anello. È l’assunzione, a fine
aprile 2021, di una persona con sin-
drome di Down da parte della casa di
moda Salvatore Ferragamo. OL
Ombre e Luci 155
FOCUS LAVORO
Diario di Efrem lavoratore
Dalla ceramica all'editoria, passando
per l'archivio di Stato e il polo museale di Bari
di Efrem Sardella
Efrem Sardella vive a Monopoli, in provincia di Bari, da quando è nato, 45 anni
fa. Sin da bambino, ama la musica. La madre, organista e direttrice di coro,
gliel’ha fatta conoscere da subito. Coccolato dalle amate zie, Efrem è cresciuto
fra casa e parrocchia. È uomo di preghiera (un ministrante coi fiocchi!) e di
azione. Per Ombre e Luci ha scritto brevi memorie sui tanti tentativi di inserirsi
nel mondo del lavoro. Spera che il racconto dei suoi successi e dei suoi fallimenti
possa servire ad altri.
opo aver “onorevolmente”
D frequentato le scuole ele-
mentari e medie ho con-
seguito la tanto desiderata licenza.
Ma dopo, cosa fare? Mi sarebbe
piaciuto continuare la scuola ma ai
miei tempi non c'erano molte occa-
sioni per continuare a frequentarla.
La mia unica occupazione era fare
il ministrante in parrocchia e poi,
una volta al mese, l’incontro con gli
amici di Fede e Luce. || mio parroco,
don Armando, pensò di formare la
cooperativa “Shalom” i cui soci era-
no anche persone (come si dice ora)
diversamente abili: collaboravamo
con Ceramica delle Puglie confezio-
nando tazzine, piattini, piatti, attac-
cando etichette, decorazioni e altro.
Il mio compito era di timbrare i car-
toni che contenevano il prodotto del
nostro lavoro. Ricordo molto volen-
tieri i colleghi: Mariuccia, Sabrina,
16 Ombre e Luci 155
Onofrio, Enzo e soprattutto Piero e
Silvio che erano i capi e distribuiva-
no le paghe. Purtroppo però ricordo
anche i litigi che qualche volta suc-
cedevano fra i colleghi e che io non
sopportavo. E così, una volta, stanco
di sentirli, me se sono andato perché
ero disperato, e poi Piero è venuto a
cercarmi. Ogni tanto facevo qualche
danno: mettevo le tazze sul nastro
trasportatore e a volte cadevano, si
rompevano e Piero mi rimproverava.
Ma anche se non ho mai litigato con
nessuno, dopo 10 anni la Ceramica
delle Puglie si è trasferita e noi sia-
mo rimasti senza lavoro. E ora che
faccio?! mi sono chiesto. Sono disoc-
cupato... Veramente, non sono mai
stato senza far niente: ho frequen-
tato un corso di ceramica presso
l'Istituto d'Arte, imparando anche a
impastare l'argilla e a decorare vasi
di terracotta. Ma anche questa espe-
rienza, dopo un po’, è terminata...
Poi l’Istituto tecnico commerciale,
nel 2007, organizzò un “Caring eco-
logico” tra le attività a sostegno dei
soggetti svantaggiati; tutte belle
esperienze: nuovi tutor, nuovi psi-
cologi, nuove attività e nuovi amici
che ricordo con nostalgia, soprattut-
to perché anche questa esperienza,
dopo un anno scolastico, si concluse.
Quindi ricominciarono le giornate in
cui non mi rimaneva che ascoltare
la musica, soprattutto la mia musica
preferita che è quella dei cori, cori di
montagna, cori di chiesa. Sognavo di
avere un coro tutto mio, e di essere
io il Maestro direttore e dirigevo...
dirigevo... e mi sentivo una persona
importante.
Ascoltare musica e immaginare
di dirigere un coro tutto mio non è il
mio unico impegno: mi rendo utile
in casa, se mia madre ha bisogno di
qualche lavoretto come apparec-
chiare, stendere la biancheria, fare
qualche piccola spesa al supermer-
cato o alla latteria (anche se devo
essere sincero, contare i soldi non è
il mio forte, per fortuna i venditori
sono onesti e così posso fidarmi!).
Mia madre è preoccupata e pensa a
qualche altra soluzione per questo
mio problema del lavoro: è vero
che continuo a essere ministrante
in parrocchia, ma è indispensabile
trovare una vera occupazione. Cer-
cando, siamo rimasti colpiti dagli
obiettivi dell’AIPD (Associazione
italiana persone down) che diceva:
Inserimento nel lavoro dei soggetti
diversamente abili. Ci siamo messi
in contatto e ho frequentato rego-
larmente l'associazione con sede a
Bari: sono stato molto contento di
conoscere nuovi amici e nuovi tutor,
l'organizzazione ci è sembrata molto
seria. Il mio tutor era Salvatore, che
per un po' di tempo è venuto da Bari
a Monopoli per farmi diventare più
autonomo e mi ha fatto capire che
sono un ragazzo Down. Chissà per-
ché, fino a questo momento non mi
ero accorto di questa piccola diffe-
renza... Devo dire che è stato un po'
difficile e un po' duro da accettare;
ma (grazie all’acqua di Lourdes) ho
superato anche questa prova, anche
se di acqua ne ho dovuta bere tanta!
Gli incontri per farmi diventare
più autonomo hanno funzionato:
mentre all’inizio i miei genitori
Ombre e Luci 155 17
18
dovevano accompagnarmi a Bari e
rimanere ad aspettare la fine del no-
stro incontro in associazione, dopo
un po' sono riuscito a prendere il
treno dalla stazione di Monopoli per
Bari da solo! Segnavo a matita su un
foglietto tuttele stazioni che ci sono
da Monopoli a Bari eman mano che
il treno ci passava le cancellavo, in
modo da non sbagliarmi e scendere
a quella giusta. Andavo a Bari col
treno per incontrare gli amici una
volta la settimana nel pomeriggio,
ma la sera venivano a riprendermi i
miei genitori perché era un po' tardi.
Quando
abbiamo completato
la prima rivista
Vivere In
l'no portata a casa
come se avessi
vinto una gara
e mi avessero
dato la coppa
Un giorno i miei tutor dell’AIPD
mi fecero una proposta: un tiro-
cinio formativo presso l'Archivio
di Stato con mansioni di archivia-
zione informatica dei dati (questa
volta mi sentivo veramente impor-
tante!). Da settembre 2012 a giu-
gno 2013 la mattina mi alzavo per
prendere il treno che mi portava a
Bari. Dalla stazione centrale pren-
Ombre e Luci 155
devo l'autobus fino all'Archivio
di Stato, dovevo fare attenzione e
scendere alla fermata giusta: non
ho mai sbagliato sia a prendere
il treno che a prendere l'autobus
(il mio Angelo Custode mi sorve-
gliava!). All’Archivio incontravo
Daniela e Rossella, due persone
veramente speciali che mi guida-
vano nel lavoro. Avendo una buona
conoscenza del programma Word,
le mie mansioni erano di archi-
viare documenti antichi e inserirli
nel computer. È stato un lavoro
un po' difficile all’inizio perché
richiedeva molta attenzione, ma
dopo 10 mesi volete sapere quanti
nomi avevo inserito? Più di 5000!
Lo schedario comprendeva: nomi-
nativo, paternità, data e luogo di
nascita, residenza, colore politico,
professione ecc. ecc. Dopo 10 mesi
i dirigenti dell'Archivio di Stato
mi hanno fatto un grande regalo:
hanno stampato il mio lavoro e lo
hanno presentato in un convegno
a cui hanno partecipato tante per-
sone importanti. È stato un lavoro
molto impegnativo che però ricor-
do con grande nostalgia.
Un secondo tirocinio l'ho
svolto presso il Polo Museale di
Bari: anche questa volta le mie
mansioni erano l'archiviazione di
documenti antichi, la scansione
e l'inserimento nel computer. Il
tirocinio durò 3 mesi (da ottobre
2016 a gennaio 2017). E così rico-
minciai a viaggiare ogni mattina
dal lunedì al venerdì: il treno era
sempre lo stesso ma il percorso
dalla stazione al Polo Museale era
diverso perchè bisognava pren-
dere l'autobus n.20, obliterare il
biglietto, fare attenzione al per-
corso; quando vedevo il Castello
voleva dire che stavo per arrivare,
quindi prenotavo la fermata e poi
scendevo. Dalla fermata in Largo
Santa Chiara, a piedi raggiunge-
vo il Polo Museale. Il mio turno
iniziava alle ore 9,30 e terminava
alle 12,30. Quindi facevo il per-
corso di ritorno fino alla stazione
e riprendevo il treno. Devo dire
che non è stato tutto facile, a vol-
te è stato molto impegnativo ma
finalmente mi sono sentito utile;
i miei colleghi dicono anche di
avere nostalgia di me. Mi chiedo
perché queste esperienze durino
così poco tempo?!
Dopo il lavoro al Polo museale,
ricomincio a passare la mattinata
senza un impegno serio. È vero
faccio il casalingo, aiuto mia ma-
dre, se proprio non c'è nulla da
fare c'è sempre il “mio” coro che
mi aspetta. Ma non è la stessa
cosa che sentirsi utile agli altri.
Le giornate trascorrono in attesa
dell'impegno di ministrante in
parrocchia, dell'incontro mensile
con Fede e Luce e poi c'è l'attesa di
quei giorni di vacanza in cui sare-
mo insieme con gli amici di Fede e
Luce, pochi giorni ma intensi: tan-
ti bei ricordi!
Per un breve periodo, il mio
attuale parroco, dirigente della
Caritas diocesana, mi chiese un
aiuto: anche qui dovevo trascrive-
re al computer alcuni documenti
manoscritti sui libri parrocchiali.
Ma anche questa iniziativa terminò
presto. Il 2020, finalmente (non
pensando al Covid) mi ha portato
un'altra grande, inaspettata sor-
presa: una responsabile della Casa
Editrice Vivere In di Monopoli mi
chiede «Vuoi venire a lavorare alla
nostra tipografia? C’è bisogno di
tel», È proprio vero che le vie del Si-
gnore sono infinite. Mio padre ogni
mattina va in campagna, quindi mi
accompagna e poi mi riprende per
pranzo. Sono contentissimo! | col-
leghi (Sante, Gianni, Marco, Dario
e Antonio) mi accolgono a braccia
aperte. Questa volta è un lavoro di-
verso: bisogna stampare e impagi-
nare riviste, libri, addirittura volumi
che parlano del Vaticano. Quando
abbiamo completato la prima rivi-
sta Vivere In, me ne hanno dato una
copia e l'ho portata a casa come se
avessi vinto una gara e mi avesse-
ro dato la coppa. Quando rientro,
mia madre mi chiede: «Tutto ok?
Hai lavorato bene?» E io rispondo:
«Uuuuh! Ho lavorato a crepapelle»,
e così tutti ridono... ma perché?! OL
Ombre e Luci 155
\J DALL'ARCHIVIO
Per un lavoro umano
Ancora attualissime le parole
20
del cardinale Martini
Scopri l'archivio degli articoli passati
su ombreeluci.it/archivio
di Maria Teresa Cabras dal n. 78 del 2002
Ila vigilia del 1° maggio il
cardinale Martini ha parla-
to a più di duemila operai
della Franco Tosi di Milano. Tra
tanti discorsi politici, commenti
giornalistici, saggi e commemora-
zioni, le sue parole sono risuonate
alte e severe nella condanna di
un lavoro non più umano, forti e
solidali nell’esortazione ai lavora-
tori all’unità e alla partecipazione,
proprio come quelle di un antico
profeta biblico.
Dice il cardinale: «Spesso si
richiede una dedizione così totale
e monopolizzante al lavoro che
lo si potrebbe catalogare sotto
l'elenco delle idolatrie deprecate
dalla Scrittura (...) Sento parlare di
turni di lavoro faticosi e stressanti,
di famiglie che devono sostenere
avvicendamenti di lavoro nella
coppia per cui, a volte, non riesco-
no neppure a vedersi per alcuni
giorni. (...) Sento che i costi sono
talmente alti (...) in termini educativi
per la fatica di seguire personalmente
i figli». Carlo Maria Martini descri-
ve il lavoro dei nostri giorni come
libero da una pesante manualità
rispetto al passato ma che, proprio
per questo «richiede persone intelli-
genti, intuitive, sensibili, adattabili,
Ombre e Luci 155
sempre giovani e scattanti, sempre
aggiornate e vivaci (...) non di rado
mancano le forze, il tempo, l’intelli-
genza e le competenze sufficienti».
È naturale che ascoltando in
particolare queste riflessioni del
cardinale il nostro pensiero corra
alle famiglie che ci sono più vicine, a
quelle che vivono con un figlio disa-
bile per il quale tempo, attenzione e
dedizione devono essere raddoppia-
te o centuplicate; a tanti giovani che
conosciamo, autonomi, in grado di
svolgere attività semplici con moda-
lità diverse. Quale presente vivono
e quale futuro li attende in que-
sto mondo del lavoro che diventa
l’unico dio, un vitello d’oro cui tutti
quanti rischiano di doversi piegare?
Mail cardinale Martini ci invita
a nutrirci della Scrittura, a restare
fedeli alla legge del rispetto per
l'altro, additata nel Vangelo. Ci
chiede di essere uniti di fronte alle
difficoltà, capaci di vedere la sof-
ferenza e coraggiosi nell’intrave-
dere le soluzioni perché non serve
lamentarsi ma serve con capacità e
sensibilità costruire una realtà più
umana. E noi gli crediamo perché
si deve credere ai Profeti. OL
DALLA NEWSLETTER
Una foto da Hong Kong
Ombre e Luci a ottomila chilometri di distanza
Padre Mario Marazzi, padre Giosuè Bonzi
e padre Fernando Cagnin da moltissimi
anni vivono a Hong Kong, in quella che era
ancora una colonia britannica quando arrivò
il primo dei missionari italiani, padre Paolo
Reina, nel 1858. Nei 150 anni dal suo sbarco,
nel 2008 i padri hanno posto un cippo
per ricordare l’inizio della loro missione
sempre a favore delle necessità degli ultimi
nell’annuncio del Vangelo. È quello che
vediamo nella foto che ci hanno inviato.
Il primo da sinistra è padre Giosuè
Bonzi: dal 1977 è co-fondatore e
consulente spirituale della Fu Hong Society
(originalmente dal nome inglese di The
Society of Homes for the Handicapped), e
dal 1997 risiede come “Fratello Maggiore”
nella Encounter Family- Care Home con
un gruppetto di donne e uomini con
handicap intellettivo, la prima delle
quattro case-famiglia (Family-care Homes)
da lui iniziate, e dove fin che il Signore
permetterà intende concludere la sua
attività missionaria in Honk Kong-Cina. A
seguire padre Fernando Cagnin, presente
in Cina da oltre vent'anni a servizio delle
persone con disabilità di Huiling; ora
è temporaneamente a Hong Kong per
difficoltà burocratiche riguardanti il visto
di residenza-lavoro nella Repubblica
Popolare Cinese. Padre Ignazio Lo, è prete
diocesano di Hong Kong fratello maggiore
in una casa-famiglia della Fu Hong Society;
infine, padre Franco Cumbo e padre Mario
Marazzi, due missionari collaboratori nelle
attività a favore di persone con disabilità.
Proprio padre Mario ci scriveva nel 2010 del
suo ritorno a Guangzhou (da noi conosciuta
come Canton) dopo una vacanza in Italia
nel suo paese sul lago di Como e di quanto
fosse preziosa l'esperienza vissuta accanto
alle persone con cui viveva; ci raccontava
anche di un treno ultraveloce che avrebbe
collegato quella parte meridionale della
Cina con Wuhan: ora conosciamo bene
quel nome... Il costo del biglietto di
seconda classe però rappresentava la metà
del salario di una delle “mamme” della
casa famiglia trasferite dalla campagna
per lavoro. La loro corrispondenza è stata
sempre frutto di scorci preziosi anche per
noi, offrendoci possibilità di condivisione
da un paese che per tanti versi rimane poco
conosciuto e comprensibile. Con le loro
voci a raccontarcelo, lo sentiamo invece più
vicino. (Cristina Tersigni)
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Ombre e Luci 155
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Stasera milonga?
A Latina l'associazione L'Oltre Tango
di Cristina Tersigni
i fai ballare un tan-
« go?». Una diciasset-
tenne di Latina, Elisa
Pascali, chiedeva così di provare, per
la prima volta, il famoso abrazo e
mostrava un vero talento nel muo-
vere passi e adorni. Dando a Rober-
to Nicchiotti, educatore
socio-pedagogico e papà di
un ragazzo con disabilità,
l’idea di proporre la sua
passione da maestro di tan-
go a persone come lei, con
la sindrome di Down, o con
altre disabilità. Dal 2015 in
tanti hanno cominciato a
praticarlo aderendo all’ini-
ziativa L'Oltre Tango (una
scuola, un metodo regi-
strato e insegnato, adatto
a persone con disabilità
cognitiva, fisica, motoria e
neurodegenerativa) ap-
prezzando le possibilità,
anche terapeutiche, di una
vera e propria arte che con la sua
musica evoca emozioni diverse e con
i suoi riti ela sua etichetta ha una
forte componente socializzante.
A specificarne gli aspetti costruttivi
fondamentali è anche la psicoterapeu-
ta Silvia Campanelli che accompagna
e segue i diversi gruppi. «Si lavora
sulla fiducia verso gli altri, sulla capa-
Ombre e Luci 155
cità di lasciarsi guidare e di guidare,
attraverso giochi a tempo di musica,
abbracci ed altre attività. Ragazzi e
adulti prendono coscienza dei propri
corpi e di quelli degli altri, aumentan-
do la fiducia in sé stessi e migliorando
diversi aspetti della vita quotidiana».
Nell'abbraccio «contenitivo, con-
fortante, emozionante, accogliente
e sincero», spiegano i conduttori,
trova spazio «l'espressione di sé
stessi in relazione con gli altri, senza
giudizi» cosicché «fare un movimen-
to, un passo, e trasmetterlo all'altro,
diventa non un’attività motoria fine
a sé stessa ma espressione di un'e-
mozione, un momento sociale e di
coppia». Centrale è infatti il gioco
della complementarità dei ruoli ma-
schile e femminile: «La forte connes-
sione tra l’intenzionalità di compiere
un preciso movimento (dell'uomo)
e il corpo che deve eseguirlo atti-
vamente (per la donna) sfruttando
cambi di peso e di direzione, tor-
sione del busto, passi siain avanza-
mento che in arretramento, pause
e accelerazioni, fanno sì che vi sia
un progressivo e costante migliora-
mento dell’equilibrio, della postura e
della qualità del movimento».
Trai circa 70 ragazzi distribuiti
tra i quattro laboratori — seguiti
molti anche online, durante il covid,
con esercizi di tango inusualmen-
te concessi ai familiari stretti — si
trovano anche ragazzi con autismo,
adolescenti e preadolescenti, per |
quali imparare a tollerare un ab-
braccio non è affatto scontato. Con
l’aiuto di molti volontari, l’attività
mirata all'insegnamento del tango
ogni anno si concentra sull'allesti-
mento di uno spettacolo teatrale
costruito sui suggerimenti dei
partecipanti e in collaborazione di
professionisti del settore.
Spettacoli decisamente Combi
(nella definizione paralimpica che
vede la partecipazione di un atleta
con disabilità e un compagno senza)
come le tante gare di danza sportiva
a cui Nicchiotti ha partecipato con
i suoi allievi come scuola associata
FIDS (Federazione Italia-
na di Danza Sportiva) ot-
tenendo grandi soddisfa-
zioni: due premi europei,
uno insieme a Elisa (ora
23enne) e uno con Ilaria
Sani (23 anni anche lei),
ballerina nella categoria
di danza in carrozzina. E
un altro premio importan-
te per Federico Morgagni
in coppia con Elisa Pascali
nella categoria Duo (nella
quale entrambi gli atleti
hanno una disabilità, in
questo caso la sindrome
di Down). Veri e propri
artisti e atleti che sognano
di poter fare una trasferta
a Buenos Aires, capitale del tango,
per esibirsi, approfondire la tecnica
e divertirsi in milonga, così come
hanno fatto spesso prima del covid
anche qui in Italia. Un «sogno di
libertà» come dice Ilaria: il tango ha
aperto a lei e ai suoi compagni una
passione che nutre vita, anima e
cuore, oltre ogni limite. OL
Ombre e Luci 155
23
| FEDE E LUCE
Un fiume lungo
quanto il Mediterraneo
In pellegrinaggio dal Monviso alla Galilea
24
di Liliana Ghiringhelli
er festeggiare i cinquant’an-
p ni di Fede e Luce, la pro-
vincia Un Fiume di Pace
ha organizzato un pellegrinaggio
che coinvolge tutte le sue comu-
nità, dal Piemonte alla Galilea. Il
percorso ricalca il fiume di pace
che dà il nome alla provincia e che
parte dalle sorgenti del Po, sno-
dandosi attraverso il Mediterraneo
fino al Giordano in Terra Santa.
È proprio dal Monviso che lo
scorso 29 maggio le comunità
Camminiamo insieme (Cuneo) e
Guida la tua guida (Mondovì) hanno
inaugurato e benedetto la barca alla
foce del Po, che è poi passata alla
comunità Porte Aperte di Torino il 6
giugno, alle comunità Cuori Aperti e
Gelsomino di Biella il 13, arrivando
infine a Milano il 19 giugno, nel-
le mani delle comunità Carugate,
Maria Immacolata e Pantigliate. Si
riparte a settembre: il 18/19 sarà la
volta delle comunità San Giuseppe
della Pace, San Gaetano e Milano
Centro, il 26 a Gratosoglio celebre-
ranno le comunità Maria Madre
della Chiesa, Messaggeri di Gioia di
Cesano Boscone e la comunità di
Rho. Le comunità del Veneto (Rag-
gi di sole e Stella di San Lorenzo)
Ombre e Luci 155
vedranno la barca ad ottobre, prima
che questa prenda il largo verso
la Galilea, dalle comunità Ulivo di
Galilea (di Elabun), Maryam Bawardi
(di Shifaram) e la nascente comunità
di Nazareth dove verrà celebrata la
conclusione del pellegrinaggio.
Il giorno dopo l’inizio del viag-
gio, il 30 maggio, c'è stata una
celebrazione al santuario di Vico-
forte che ha visto partecipare, tra
gli altri, la nuova reporter di Mon-
dovì, Valentina Montanari: «Per me
Fede e Luce è importante perché ci
sono ragazzi come me e la comuni-
tà mi ha aiutato tanto nei momenti
difficili, quando ad esempio sono
stata operata: allora mi sono senti-
ta molto appoggiata perché i miei
amici hanno pregato per me e sono
venuti a trovarmi. Frequento Fede
e Luce dal 2002 e in questi anni ho
capito che anche io posso aiutare
chi mi sta vicino volendogli bene e
consolandolo nei momenti diffici-
li. Ho capito il motto della nostra
comunità “Guida la tua guida”».
Quando la barca è approdata a
Torino, anche Massimo, papà di due
ragazzi della comunità, ha voluto rac-
contare cosa ha significato per la sua
famiglia conoscere Fede e Luce, poco
La comunità Porte Aperte di Torino sulle rive del Po
prima del confinamento: «Quando hai
dei figli con problemi, l’aprirsi a nuove
esperienze non è facile. Ti senti come
in un campo minato. Che persone
incontreremo? Cosa diremo? Come si
comporteranno i ragazzi? Le ferite del
passato hanno una guarigione lenta.
Difficile dimenticare gli sguardi, le
occhiate, le parole di chi si definisce
“normale”, ma evidentemente tanto
normale non è! Il timore di portare i
bambini al parco, spiegare a genitori e
figli che loro vogliono andare proprio
su quell’altalena e non sull’altra anche
Fede e Luce e Ombre e Luci
hanno una nuova sede!
Stiamo avviando alcune ristrutturazio-
ni perché vorremmo che la sede fosse
un luogo dove sia bello lavorare e stare
insieme, dove le persone con disabilità
possano far sentire la loro voce, dove
raccogliere i documenti che racconta-
no la nostra storia, dove dare la giusta
accoglienza a chi vuole conoscerci e in-
contrarci, dove ricevere ospiti per appro-
fondire tematiche che ci stanno a cuore,
dove presentare libri importanti per avvi-
cinarsi ai temi della fragilità, dove svolge-
re attività di tirocinio e formative. Tutte
cose che viviamo nelle comunità di Fede
se è libera? La mancanza di socialità,
la burocrazia, gli enti pubblici eva-
nescenti e le difficoltà sul posto di
lavoro. La barca cerca di mantenere la
rotta, ma spesso è scossa dai marosi
e spinta verso ignote mete. Abbiamo
avuto la fortuna di vedere un faro. Ab-
biamo virato, puntando la prua verso
quel bagliore lontano, al quale abbia-
mo affidato le nostre speranze. Una
luce che si è dimostrata carica di fede,
calore, accoglienza, persone che ti vo-
gliono bene. Questo è ciò che abbiamo
trovato entrando in porto!» OL
Ò
e Luce o che leggiamo,
vive, nelle pagine della
nostra rivista Ombre e Luci.
Abbiamo bisogno del sostegno piccolo
e grande di ciascuno per dare vita alla
nostra nuova sede.
Contiamo anche sul tuo!
Se pensi sia una buona idea aggiungi al
rinnovo del tuo abbonamento la cifra
che ritieni giusta per le tue possibilità.
Oppure visita questa pagina:
www.fedeeluce.it/sostieni
Per ringraziarti, riceverai un nostro pic-
colo ricordo. Grazie! OL
Ombre e Luci 155
25
(2 usi
Sentire la fine del mondo
Il cortometraggio di Claude Lelouch
sull'11 settembre
di Claudio Cinus
rrivò nelle sale |'11 set- Claude Lelouch scelse di muo-
tembre 2002, il film ideato versi nei territori a lui cari della
appositamente per com- storia d'amore, ambientata in-
memorare la data fatidica di un teramente in un appartamento
anno prima, 11 settembre 2001: newyorchese: una coppia in crisi
composto da 11 cortometraggi discute animatamente, forse per
della durata di 11 minuti 9 secondi l’ultima volta, proprio la mattina
e un fotogramma, per i quali ogni di quell’11 settembre indimentica-
regista selezionato potè lavorarein bile. Un litigio doloroso ma senza
piena autonomia. rumore: la donna infatti è sorda.
Giunta a New York come
turista, si
Py
era innamorata della guida: un
amore intenso e inatteso che però,
passato ormai del tempo, la riem-
pie di dubbi.
Gli aerei che colpiscono le Torri
Gemelle sono immagini che tutti
ricordiamo; la maggior parte delle
nostre memorie acustiche sono
invece legate alle voci sbigottite
dei giornalisti che commentarono
gli eventi con interminabili diret-
te non-stop. La protagonista tiene
la televisione accesa, ma è fuori
dal suo campo visivo. Mentre noi
possiamo osservare in diretta il
corso degli eventi, la vediamo
ignara di tutto perché non può
sentire; anche quando nota il tre-
molio del tavolo non ne sospetta
la causa. È persa nei ricordi dell’i-
nizio della sua storia d'amore, è
impegnata a lasciare una traccia
scritta del perché ritiene stia ter-
minando.
Vent'anni fa era ancora verosi-
mile che le notizie non raggiun-
gessero subito chi non si trovava
di fronte a un televisore: la donna
soffre come se per lei il mondo
stesse finendo, senza sospettare
che la fine del mondo sta acca-
dendo a pochi chilometri.
Nel finale, dramma privato
e collettivo si toccano, come in
una sorta di miracolo accaduto
proprio in quella mattinata che
Lelouch ha voluto raccontare dal
singolare punto di vista di chi,
inizialmente, ne rimane esclusa
sia col corpo sia con i sen-
TIFO901
Un'antologia per non dimenticare
Un fotogramma dal cortometraggio
di Claude Lelouch
L'episodio di Claude Lelouch è solo uno
degli undici che compongono 11 settem-
bre 2001, film del 2002 il cui titolo origi-
nale, meno esplicito ma più simbolico di
quello italiano, rimanda proprio al mi-
nutaggio dei singoli episodi: 11’, 09'', 01.
L'idea di ricordare le vittime degli atten-
tati di New York con un’opera che avesse
al produttore francese Alain Brigand, cui
si deve (di concerto con le produzioni dei
Paesi coinvolti) la selezione del collettivo
di registi. Ognuno di loro ha lavorato in
modo indipendente e separato, restituen-
do storie sensibilmente diverse non solo
per gli aspetti tecnici, ma anche per le te-
matiche e le provocazioni. Dalla denuncia
per la discriminazione musulmana (della
regista Mira Nair nel suo India), passando
per la critica alle cosiddette guerre sante
(Shohei Imamura in Giappone e Alejandro
Gonzalez Iérritu in Messico) e agli inte-
ressi politici (Youssef Chahine in Egitto e
Ken Loach in Regno Unito), fino al dram-
ma più puro e umano (il già citato Lelou-
ch in Francia, ma anche Sean Penn negli
USA, Samira Makhmalbaf in Iran, Danis
Tanovic in Bosnia-Erzegovina e Amos Gi-
tai in Israele). OL
timenti. OL
Ombre e Luci 155 27
\O4!
pesi
} E QUESTO È NIENTE
Lamia vita rimasta a metà
sa oe
i momento è iveristo persempre
2021
BOLLATI
BORINGHIERI
128 PP
14€
RAGAZZA ASPY
2021
ERICKSON
96 PP
12€
28 Ombre e Luci 155
LIBRI
MICHELE CECCHINI
E questo è niente
Ma chi ha scelto l’ottica da cui guardare le cose? Chi ha definito
cosa sia normale e cosa no? Se non ve lo siete mai chiesto, questo
è il libro che fa per voi; se ve lo siete già domandato, è comunque
il romanzo giusto. Diverte, commuove e arricchisce il racconto di
Giulio, che vive in un borgo toscano negli anni Sessanta. Osser-
vando la sua famiglia e la sua comunità, nota che questi cosiddetti
normali sono sempre scontenti, arrabbiati, lamentosi; hanno sem-
pre qualcosa che non va. La conclusione a cui giunge — lui che ha
16 anni ma ne dimostra 7, è tetraplegico («ho due braccia e due
gambe ma non funziona nulla») e non parla — è una: tutto con-
siderato, «posso dire di essere l’unico della famiglia a non avere
guai». Soprattutto perché Giulio sembra veramente il solo a voler-
la «respirare tutta», a pieni polmoni, la vita. Il libro è ispirato a una
storia vera (nel 1966 il padre dell’autore — allievo di Adriano Mi-
lani, medico e fratello maggiore del famoso don Lorenzo — aprì a
Lucca un centro per bimbi con paralisi cerebrale infantile). - G.G.
AGNESE SPOTORNO
Ragazza Aspy
Come vorrei che il mondo ci capisse
Un'adolescente dialoga con la sua ombra. Dapprima non la
sopporta, ma poi, col tempo, impara a conviverci e a recepire,
grazie a essa, che «nessuno di noi è uguale a un altro» e che ognu-
no è unico a modo suo. È questo il libro che Agnese Spotorno ha
scritto per raccontare se stessa: la famiglia, la scuola, gli scout,
Genova, lo sport, il mare della Corsica e sì, l'ombra dello spettro
autistico che amplifica qualsiasi emozione («Io sento più degli
altri: è come avere orecchie giganti, ma sul cuore») e porta a «es-
sere giudicati con una certa frequenza» da quel mondo che non
riesce a percepire la profondità delle cose. Pagina dopo pagina,
si ha dunque la possibilità di entrare nell’universo dell’autrice (a
conclusione del volume, presente il Glossario di Agnese), che oggi
frequenta le scuole superiori e ha raggiunto, nonostante le diffi-
coltà e molto probabilmente l’incredulità di quel “mondo altro”,
tanti risultati. Primo tra tutti — lo si accennava - aver capito che
la compagna di viaggio che l’ombra è, equivale a possedere «un
grande patrimonio». Diversità è ricchezza. — E.R.
LIBRI
PINO ROVEREDO
I ragazzi della via Pascoli
Pino e il fratello Rino nascono a Trieste nella casa del si-
lenzio: mamma e papà sono sordomuti. È una casa poveris-
sima, ma i bambini vi crescono felici. Finché una zia estra-
nea ma benintenzionata si mette in mezzo: tolti ai genitori,
i bambini finiscono in collegio. E così compaiono i cattivi:
ora Pino e Rino sono due dei trecento ragazzi che vivono
2021. «a completa disposizione delle mani e dell'umore degli as-
BOMPIANI —sistenti», l'infanzia viene strappata via. Esistenze negate,
128PP.. relegate ai margini, quelle nell’Istituto, ma basta che la vita
13€ mostri uno spiraglio di umanità, di bello, perché qualcosa
riprenda a scorrere. Inizia come una fiaba questo splendido
libro di Pino Roveredo, un racconto che si dipana col lin-
guaggio leggero e disarmante dell'infanzia, dove la sensibi-
lità dei vinti ha luce propria e il dolore lancinante del piccolo
protagonista non è rimosso, ma ha la vitalità della voglia di
futuro. — N.B.
RICCARDO SOLLINI
Frammenti di solitudine
Storie e pensieri di figli della Comunità di Capodarco
Riccardo Sollini è figlio di una delle giovani famiglie che, alla
fine degli anni Sessanta, si univano alla «visione di una società
giusta, coerente... ugualitaria» ispirata da don Franco Monterub-
bianesi con la Comunità di Capodarco. E vi entrava «non perché
bisognoso d'aiuto, ma semplicemente perché immerso in un
mondo nel quale i concetti di famiglia, genitori e di rapporto con
i pari erano di gran lunga messi in discussione, o forse, semplice-
2020 mente, raggiungevano livelli “altri”». Nella restituzione che Solli-
PENDAGRON — ni opera del suo e dei contributi di altri fratelli di vita, emergono le
288 PP... molte difficoltà inizialmente sottovalutate nella vita comunitaria,
12€ comeil paradosso della solitudine o del peso della diversità. Oltre
la critica o l'elogio, l’autore traccia un percorso di consapevolezza,
riconoscendo comunque la comunità come «dolce, severa e com-
prensiva insegnante» capace di aver impresso un’<eredità inesti-
mabile», fatta di gesti che si apprendono solo vivendoli. — C.T.
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\ JE
30
Perché il mare
non è sempre lo stesso?
di Benedetta Mattei
mmmm... non è che è pro-
prio tutto come voglio io.
Anzi! Qui al mare, dove sto
in vacanza come ogni anno, ci sono
tante cose diverse che a me proprio
non piacciono. E così mi arrabbio e
faccio di testa mia, comemi dice la
capoccia mia. Però non mi va bene.
No no, per niente! Mi diverto molto di
meno. Ma non ci posso fare proprio un
bel niente. lo pensavo che era come
sempre ma già l’anno scorso non era
più così. Ma questa volta è pure molto
peggio. lo spero tanto che venga pre-
sto la mia amica Sara a trovarmi così
almeno sto meglio e posso fare quello
che voglio fare. La cosa che più mi pia-
ceè andare in giro la serae in pizzeria.
Mi piace cambiare sempre la pizzeria
anche se poi mi piace andare dove co-
nosco bene le cameriere, Così scher-
ziamo e ridiamo. Però io al parco-gio-
chi non vi vado più perché ormai sono
grande. Non sono più salita neppure
sull’altalena per questo. Gioco poco
pure a carte perché mi diverto poco.
Gioco solo qualche volta. Invece prima
andavo sempre al parco-giochi, stavo
tantissimo sull'altalena e giocavo a
Ombre e Luci 155
carte. Finora non ho neppure giocato
sulla spiaggia a calcio e a racchettoni.
Che faccio tutto il giorno al mare?
Vado sotto gli ombrelloni degli altri a
chiacchierare. Faccio abbastanza spes-
so i compiti così non perdo l'abitudine
a farli. Non lavoro tanto però poco
quasi ogni giorno. Il prossimo anno
voglio avere una pagella bella come
quest’anno e per questo devo studiare.
La cosa più brutta che mi è successa
qui al mare finora è stato l’incontro
con un cane che mi ha rincorsa e poi
mi stava per saltare addosso quando
ho sbattuto la porta di casa. Mi sono
messa a urlare e si sono spaventati
tutti. lo stavo rientrando a casa da sola
quando lui si è messo a correre. Meno
male che ero davanti alla porta di casa,
sono entrata e ho sbattuto la porta.
Maora ho paurissima a uscire di casa
da sola. Allora mi faccio accompagna-
re per il primo pezzo, fino a lungoma-
re e poi vado. Ma da sola io non esco
perché il cane abita proprio accanto
a me. Il padrone ha detto che lo terrà
legato ma io ho paura lo stesso e non
ci credo. OL
Visita a Roccamonfina
di Giovanni Grossi
| giorno della partenza si
avvicina, quasi non ci speravo
più, io in certi casi e momenti
sono sempre disponibile. Però devo
saperlo prima così mi organizzo
con i giorni da prendere come ferie,
io ho saputo tutto per telefono sul
da farsi, cosa portare per tre giorni,
magliette pantaloni calze ecc... lo
sono contento di andare in mac-
china e percorrere l'autostrada che
porta lontano verso il posto, in
realtà c'ero già stato l’anno scorso,
e riconosco il luogo, la chiesa e le
stanze che sono nel convento con
delle persone che ci vivono, e fanno
vita monastica. lo sono con Fabio,
altre stanze altri ragazzi, durante il
giorno c'è un appuntamento diver-
so, la piscina, la pizzeria ela sera
quando facciamo il karaoke. È per
me una bella cosa stare in un posto
come questo, con il bosco e poi si
fa la passeggiata per il sentiero, io
sono stato di compagnia, con chi
conosco della mia comunità come
Daniela, poi ho saputo i nomi delle
persone che sono state con noi, Lui-
sa, Manlio, Stefano, Roberto e Maria
Agnese — quando è arrivato l’ultimo
giorno ho sentito la messa, ho man-
giato l’ostia e poi riposo, quando è
l'ora di ritornare c'è un pò di tri-
stezza, ma c'è la felicità nel tornare
a Roma non per lavorare che lo si fa
ma per il fine settimana. OL
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regni la giustizia
a me sembra c
solo dai nosti
dalle nostre.
e dal nostro c
far regnare alm
una microgiusti
(Mariangela Bertolini, Lil Lu!
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